Ennio A. Rossi
Membro Junior
- Commercialista
Un nuovo ruolo dell'amministratore di condominio.
Forme alternative di convivenza.
Se fra gli intenti perseguiti vi è poi la valorizzazione delle competenze e delle capacità degli amministratori di condominio, allora sarebbe più opportuno riconoscere maggiore rilievo ad un particolare aspetto della recente riforma della disciplina condominiale, passato, sembrerebbe, in sordina: il nuovo art. 1135 c.c., comma 3, prevede infatti che
Con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (art. 1136, comma 4, c.c.), l'assemblea può dunque autorizzare lo svolgimento di una serie di attività che, pur non specificate dalla norma, mirino sostanzialmente ad incentivare la partecipazione di condòmini ed amministratori a progetti destinati a migliorare non solo la sicurezza, ma – elemento di maggiore interesse – la vivibilità urbana.
La nuova previsione normativa potrebbe quindi essere intesa come riferimento ai programmi di cd. cohousing (traducibile in "coabitazione", o "condominio solidale"), ossia quelle esperienze abitative condivise dove singoli, coppie di giovani o anziani, intere famiglie vivono in complessi residenziali composti da appartamenti privati e da ampi spazi destinati all'uso comune (sale riunioni, cucine, lavanderie, laboratori spazi gioco, asili nido, biblioteche, ecc.) e gestiti collettivamente.
Oltre alla condivisione di spazi comuni, i co-housers svolgono a turno servizi utili per tutta la comunità di vicinato: dalla custodia dei bambini alla spesa settimanale, dalla cura del verde alla manutenzione ordinaria degli edifici.
Nata in Danimarca all'inizio degli anni Ottanta e diffusasi in Australia, Canada, Stati Uniti e nell'Europa centro-settentrionale, la pratica del co-housing è attiva anche in Italia e sta stimolando l'interesse degli enti locali, al punto che alcune grandi città hanno avviato programmi di condòmini solidali.
In alcuni centri urbani gli enti locali sono poi già impegnati nella promozione di progetti di housing sociale, inteso come evoluzione dell'edilizia pubblica residenziale e forma di sostegno abitativo a giovani coppie, immigrati, persone separate, famiglie in difficoltà economica: i Comuni, di norma con il supporto delle fondazioni private, recuperano edifici pubblici abbandonati e li trasformano in complessi residenziali destinati a persone disagiate.
Su un piano diverso, ma in una prospettiva di concreta attenzione alla conflittualità generata dalla quotidiana condivisione della gestione degli spazi e dei servizi, soprattutto in presenza di differenze linguistiche e culturali, si pongono poi le iniziative di mediazione sociale e culturale promosse da alcune amministrazioni comunali: sono stati così avviati interventi e/o Sportelli di mediazione, destinati a dar vita a graduali processi di conoscenza dei regolamenti condominiali e dei corretti modelli di comportamento nell'uso della casa e degli spazi comuni del contesto condominiale, al fine di ridurre le tensioni e trasformare realmente i complessi condominiali in luoghi di convivenza pacifica e costruttiva.
Forme alternative di convivenza.
Se fra gli intenti perseguiti vi è poi la valorizzazione delle competenze e delle capacità degli amministratori di condominio, allora sarebbe più opportuno riconoscere maggiore rilievo ad un particolare aspetto della recente riforma della disciplina condominiale, passato, sembrerebbe, in sordina: il nuovo art. 1135 c.c., comma 3, prevede infatti che
"L'assemblea può autorizzare l'amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato".
Con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (art. 1136, comma 4, c.c.), l'assemblea può dunque autorizzare lo svolgimento di una serie di attività che, pur non specificate dalla norma, mirino sostanzialmente ad incentivare la partecipazione di condòmini ed amministratori a progetti destinati a migliorare non solo la sicurezza, ma – elemento di maggiore interesse – la vivibilità urbana.
La nuova previsione normativa potrebbe quindi essere intesa come riferimento ai programmi di cd. cohousing (traducibile in "coabitazione", o "condominio solidale"), ossia quelle esperienze abitative condivise dove singoli, coppie di giovani o anziani, intere famiglie vivono in complessi residenziali composti da appartamenti privati e da ampi spazi destinati all'uso comune (sale riunioni, cucine, lavanderie, laboratori spazi gioco, asili nido, biblioteche, ecc.) e gestiti collettivamente.
Oltre alla condivisione di spazi comuni, i co-housers svolgono a turno servizi utili per tutta la comunità di vicinato: dalla custodia dei bambini alla spesa settimanale, dalla cura del verde alla manutenzione ordinaria degli edifici.
Nata in Danimarca all'inizio degli anni Ottanta e diffusasi in Australia, Canada, Stati Uniti e nell'Europa centro-settentrionale, la pratica del co-housing è attiva anche in Italia e sta stimolando l'interesse degli enti locali, al punto che alcune grandi città hanno avviato programmi di condòmini solidali.
In alcuni centri urbani gli enti locali sono poi già impegnati nella promozione di progetti di housing sociale, inteso come evoluzione dell'edilizia pubblica residenziale e forma di sostegno abitativo a giovani coppie, immigrati, persone separate, famiglie in difficoltà economica: i Comuni, di norma con il supporto delle fondazioni private, recuperano edifici pubblici abbandonati e li trasformano in complessi residenziali destinati a persone disagiate.
Su un piano diverso, ma in una prospettiva di concreta attenzione alla conflittualità generata dalla quotidiana condivisione della gestione degli spazi e dei servizi, soprattutto in presenza di differenze linguistiche e culturali, si pongono poi le iniziative di mediazione sociale e culturale promosse da alcune amministrazioni comunali: sono stati così avviati interventi e/o Sportelli di mediazione, destinati a dar vita a graduali processi di conoscenza dei regolamenti condominiali e dei corretti modelli di comportamento nell'uso della casa e degli spazi comuni del contesto condominiale, al fine di ridurre le tensioni e trasformare realmente i complessi condominiali in luoghi di convivenza pacifica e costruttiva.
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